sabato 16 novembre 2013

Gli scontri fra Sudan e Sud Sudan



Alle criticità sul fronte interno si sono aggiunte le continue tensioni internazionali, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con il vicino sud sudanese. Sul piano della cooperazione e della soluzione delle controversie con il Sud Sudan non si registrano significativi e concreti passi in avanti. A più di un anno dall’accordo di fine agosto 2012, con cui Khartoum e Juba sembravano aver imboccato la strada giusta per risolvere pacificamente le questioni irrisolte relative alla spartizione dei proventi petroliferi e la stabilizzazione delle regioni di confine ancora contese, le relazioni tra i due Paesi sono tuttora connotate da tensioni che talvolta sfociano in scontri armati. Eppure, a marzo di quest’anno il processo negoziale sembrava aver raggiunto la tanto attesa svolta con gli accordi sull’imminente ripresa dell’export del greggio sud sudanese, bloccato da oltre un anno a seguito della decisione unilaterale di Juba, all’inizio del 2012.
Nonostante le tensioni politiche e i continui scontri armati, le ricche regioni petrolifere del Darfur e del Sud Kordofan hanno continuato l’estrazione dell’”oro nero” e, negli ultimi mesi, non si è assistito alla tanto temuta interruzione dei flussi. Un’eventuale stop di Khartoum significherebbe penalizzare ulteriormente le economie di entrambi i Paesi, già stremate da oltre un anno di mancati introiti, essendo l’oro nero la principale entrata per le casse statali. La decisione di Salva Kiir di sospenderne l’estrazione di petrolio all’inizio del 2012 come contromisura nei confronti di Khartoum non ha avuto solo effetti pesantissimi sul PIL sud sudanese, ma ha anche rappresentato un ulteriore ostacolo alla prosecuzione dei negoziati di pace. Con l’indipendenza del Sud Sudan a luglio 2012 questo Paese è riuscito ad acquisire il controllo del 75% delle risorse petrolifere esistenti in quel momento in Sudan. L’assenza di sbocchi sul mare e la grave carenza infrastrutturale, però, costringe Juba a dover dipendere dagli oleodotti sudanesi per il trasporto e l’export del petrolio stesso. Tutto questo, però, ha un prezzo molto alto. Khartoum, una volta rinunciato agli introiti della vendita del greggio, cerca di recuperare imponendo tariffe di transito elevatissime per l’uso delle proprie infrastrutture, indispensabili perché il petrolio possa essere trasportato agevolmente verso Port Sudan nel Mar Rosso ed essere commercializzato.
Sebbene gli accordi di fine agosto 2012 abbiamo provveduto a fissare una tariffa di transito di circa 9 dollari a barile, la ripresa della produzione in Sud Sudan è avvenuta a ritmi estremamente lenti e comunque ben al di sotto delle potenzialità precedenti alla crisi quando si estraevano circa 500.000 barili al giorno. Il PIL di Juba, dipendente al 98% dal petrolio, ha conosciuto un autentico tracollo. Si calcola, infatti, che nel 2012 la ricchezza nazionale si sia ridotta di quasi il 50% e, visti i tempi ancora lunghi per il ripristino della capacità produttiva, si prevede una diminuzione del 16% anche per il 2013. A peggiorare il quadro è intervenuta una fortissima svalutazione della moneta nazionale, il South Sudanese Pound, accompagnata dall’improvviso innalzamento del tasso d’inflazione. A maggio 2012 il livello dei prezzi aveva fatto registrare un incremento di oltre il 70%, per poi attestarsi al 25% a dicembre a seguito degli accordi tra i due Paesi.

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