La Colombia dal 14 ottobre è attraversata da una delle proteste indigene più importanti degli ultimi anni. E’ la Minga Indígena Social y Popular, che ha mobilitato almeno 40mila indigeni di varie etnie.
Le “mingas” sono marce che simboleggiano l’unità indigena, in contrapposizione alle divisioni territoriali imposte dal colonialismo spagnolo prima e oggi dallo Stato. Quella odierna coinvolge almeno dieci dipartimenti regionali su 32 che si sono uniti stremati dalle politiche neoliberiste del governo guidato da Juan Manuel Santos Calderón.
“Le nostre richieste sono cinque – spiegano i manifestanti: Chiediamo fine dello sfruttamento delle miniere, restituzione dei territori, difesa dei diritti umani, cambio della politica economica e agraria di questo esecutivo. Infine vogliamo promuovere l’autonomia e diritti come popolazioni indigene”. Le ultime notizie parlano già di mano dura da parte di Santos: comunicati delle organizzazioni indigene denunciano la violenza dei battaglioni dell’Esmad, corpo militare antisommossa, a Buonaventura, nella regione del Valle del Cauca, ma anche nel Huila, mentre in molte parti della Colombia la tensione sale, con scontri fra eserciti guerriglieri e militari.
La protesta indigena è la prosecuzione del Paro Agrario Nacional, il grande sciopero contadino partito il 19 agosto e che per quasi due mesi ha bloccato l’intera Colombia. Agricoltori piccoli e medi dal Nord al Sud del Paese chiedevano la cessazione immediata del Trattato di Libero Commercio siglato dal governo di Manuel Santos con Stati Uniti, Unione Europea e Cina. Una forma di liberismo estremo che impone, fra le altre cose, l’acquisto di semi transgenici e fertilizzanti, prezzi più bassi e lavoro a condizioni insostenibili. Santos ha usato la mano dura mandando i battaglioni dell’Esmad. Una scelta che ha provocato dodici vittime e 450 feriti.
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