
Si sono sollevati contro il regime di Bouteflika, che sta ormai al potere da 11 anni, ma presente sulla scena politica algerina dagli anni '60...
Khelil Abdelmoumène, segretario generale della Lega algerina dei diritti dell’uomo: "La gioventù, chiamata la gioventù dello stato d’emergenza perché nata con esso, aspira a un nuovo domani dove si possa vivere nella libertà e dove ricoprire il ruolo che le compete nella società”.
La manifestazione , chiamata Giornata della svolta, è stata voluta dal Coordinamento nazionale per il cambiamento e la democrazia (Cncd), che riunisce alcuni partiti di opposizione (tra cui il "Raggruppamento per la cultura e la democrazia", Rcd) e rappresentanti della società civile e di sindacati non riconosciuti. Il Coordinamento è nato il 21 gennaio, dopo gli scontri che hanno provocato 5 morti; vuole "il cambiamento del sistema", di fronte al "vuoto politico" che minaccia la società algerina.
Alla manifestazione, questa mattina, era presente anche il co-fondatore del Fronte islamico della salvezza (Fis), Ali Belhadj, ma in veste "non ufficiale".

Secondo la Lega per la Difesa dei diritti umani, gli arrestati sono stati almeno 200, fra cui alcuni esponenti politici dell'opposizione.


In piazza Primo maggio, nel pomeriggio, c'erano più di 2.000 persone, che hanno intonato cori e slogan contro il potere: "Ouyahia esserak" (Ouyahia ladro), "Echaab yourid iskat enidham" (il popolo vuole la caduta del regime), "mazalna mazalna thouar" (restiamo dei rivoluzionari). Circa 30.000 agenti sono stati schierati dalle autorità per fronteggiare i dimostranti, e altri 10.000 hanno circondato la città per bloccare gli accessi dall'esterno.


Secondo il politologo Luis Martinez della facoltá di Sciences Po di Parigi, il contesto politico e sociale in Algeria "è esplosivo" e "la protesta potrebbe durare più a lungo che altrove", ma il regime è in grado di gestire "un assedio su Algeri" anche per due o tre mesi. "L'Algeria potrebbe certamente gestire un assedio di Algeri per due o tre mesi", dice Martinez, "il Paese purtroppo ha una grande esperienza in materia e saprà farlo, ne ha i mezzi". I movimenti di protesta quindi "potrebbero durare più a lungo che altrove perché l'Algeria non dipende dall'industria turistica come l'Egitto, il suo sistema politico non si basa sulla rendita del canale di Suez né sugli aiuti degli Stati Uniti all'esercito".
"Inoltre - precisa l'esperto - l'Algeria può basarsi sui 50 miliardi di petrolio e gas che vende ogni anno all'estero: non ha quindi alcun problema di resistenza alla pressione esterna". Perciò, l'Unione europea "difficilmente eserciterà la minima precisione: l'Algeria la rifornisce del 10% del suo gas e petrolio". Ma anche gli Stati Uniti hanno meno interesse a intervenire che in Egitto, perché "l'Algeria non è un Paese strategico e non ha problemi particolari con Israele"
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