Dopo le manifestazioni del primo mese, pare che in Bahrain, almeno intorno alla seconda metà di febbraio, siano le opposizioni ad aver avuto più successo: dopo la brutale repressione disapprovata da quasi tutte le cancellerie e soprattutto dagli Stati Uniti, l'emiro ha offerto un dialogo agli oppositori, che hanno rifiutato fino a quando non fosse ritirato l'esercito dalle strade. Il re ha dato ordine all'esercito di ritirarsi e annunciato colloqui che porteranno a "una nuova era". Migliaia di abitanti di Manama hanno allora ri-occupato la rotonda chiamata Pearl. A quel punto è intervenuta la polizia in assetto antisommossa, ma i dimostranti hanno resistito ai lanci di lacrimogeni e sfidato la polizia fino a che questa non si è ritirata.

E’ il Bahrain in questo momento a preoccupare di più la Casa Bianca. La piccola monarchia in mezzo al Golfo Persico (un milione e duecentomila abitanti), retta dalla famiglia Al Khalifa dal 1783, è una pedina essenziale per la politica americana. Qui ha sede la Quinta Flotta navale degli Stati Uniti. Da qui partirebbe un eventuale attacco all’Iran (chiesto, tra l’altro, dagli stessi governanti del Bahrain. I files di Wikileaks, lo scorso novembre, hanno rivelato la richiesta di King Hamad agli Stati Uniti di “fermare, con ogni mezzo, il programma nucleare iraniano”). E’ stato proprio il carattere strategico dell’alleanza con la monarchia Al Khalifa a far chiudere più di un occhio al governo Usa. Quando, l’estate scorsa, due dozzine di attivisti sciiti furono arrestati nella capitale Manama, e un gruppo per i diritti umani venne sciolto dal governo, gli Stati Uniti non reagirono. Anzi. Il segretario di Stato Hillary Clinton, durante una visita a dicembre, lodò il governo del Bahrain per “i suoi progressi su tutti i fronti”, e liquidò l’arresto degli oppositori politici come “un bicchiere mezzo pieno”.

Le proteste di piazza della Perla a Manama, l’intervento dell’esercito che ha sparato contro pacifici dimostranti mentre questi dormivano, accampati nella centrale piazza della Perla, cambia le cose. La notte scorsa Barack Obama ha chiamato King Hamad e gli ha di nuovo chiesto di “astenersi dallo sparare sui dimostranti”. Una richiesta che deve aver avuto il suo effetto, visto che l’esercito, nelle ultime ore, si è ritirato da Manama. Ma fonti interne all’amministrazione, citate dal Washington Post, rivelano un Obama combattuto, incerto sul da farsi.
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